1.IL RE DI WALL STREET, 5 dicembre 2019
2.Park Avenue Prince
3.Duke of Manhattan
4.The British Knight
5.The Earl of London
AUTORE: Louise Bay
SERIE: The Royals Collection
EDITORE: Always Publishing
GENERE: Contemporary Romance
È il re di Wall Street... ma non può nulla contro l’amore.
Max
King è il banchiere d'investimento di maggior successo di New York. La
sua reputazione di re di Wall Street, esigente, implacabile e scaltro
negli affari, lo precede. Max ha sempre ragione e richiede il massimo
dai suoi clienti e dai suoi dipendenti.
Ma nessuno sospetta che il
suo lavoro più duro inizi dopo aver lasciato il suo impero: come padre
single di una figlia di quattordici anni, Amanda, che è del tutto immune
alla sua autorità. A casa è lei a dettare le regole.
Max non ha
tempo per le relazioni che durino più di una notte. Vive in due mondi,
che mantiene rigorosamente separati. Fino a quando proprio
nell'ascensore del suo palazzo, non incontra Harper Jayne.
La sua
nuova impiegata, nonché la donna più esasperante con cui abbia mai
lavorato. La sua timida bellezza ha reso Max disperato: lo distrae
durante il giorno e gli ruba il sonno di notte, la sua ansia di
compiacerlo e di fare una buona impressione lo irritano. Harper è stata
una spina nel fianco fin dal primo giorno di lavoro, e per questo Max
si è ripromesso di tenerla a distanza in ogni modo possibile.
Ora è
chiaro che le barriere tra i suoi due mondi sono destinate a crollare.
Ma il Re di Wall Street si farà mettere in ginocchio da una brillante e
ambiziosa regina?
Questo
libro parla della quotidianità di due semplici essere umani che ogni giorno
devono andare al lavoro, affrontare crisi adolescenziali, imbattersi in capi
dispotici.
È
stata una trama leggera, mi sono sentita come l’amica confidenziale, che
ascolta i loro problemi e in un certo senso dà loro dei consigli.
Anche
i protagonisti mi sono piaciuti molto.
Harper
è una ragazza intelligente con una gran voglia di imparare.
Sin
quando ha iniziato a studiare economia, ha sempre sognato di lavorare per la Kings
& Associates, un importante società d’investimento.
Ha
sempre ammirato e aspirato a Max King l’amministratore delegato, determinato,
vincente, bello come un modello da copertina.
Tuttavia,
dopo le prime settimane del suo nuovo lavoro ha dovuto far fronte a un capo freddo,
brusco, tiranno.
Sapete
che non amo particolarmente gli uomini dispotici, però devo essere sincera, nel
mondo di Wall Street, o si è spietati o non fai successo.
Max
è un uomo intransigente, ha fatto del suo successo un motto: SONO I RISULTATI
NON GLI SFORZI, A ESSERE RICOMPENSATI, vuole il meglio e pretende la
perfezione.
Tuttavia,
tornato a casa, da capo presuntuoso e antipatico, si trasforma in un padre
amorevole, che ama incondizionatamente sua figlia, Amanda.
Bello
come il rapporto tra Max e la madre di Amanda, entrambi troppo piccoli quando
sono diventati genitori, è pacifico senza drammi, hanno deciso di prendere
strade separante pur sostenendosi a vicenda.
È
stato proprio una boccata di aria fresca, una lettura frizzante.
Di
passione ne abbiamo, ma senza volgarità, sin da subito l’attrazione che lega i
protagonisti è potentissima.
Mi
è piaciuto moltissimo, sicuramente è stato perfetto per evadere da questo
momento non propria idilliaco.
⧫ La porta si spalancò e, per la seconda volta, mi ritrovai
faccia a faccia con Max King dove meno mi sarei aspettata di trovarlo.
E, ovviamente, lui doveva essere a petto nudo.
«Ma stiamo scherzando?» sbraitai, lanciando in aria le
braccia, esasperata.
Gli si sgranarono gli occhi e scivolarono giù sul mio corpo.
Seguii la direzione del suo sguardo; merda, la sottoveste mi si stava aprendo.
Afferrai la seta e tirai i lembi insieme, cercando di ignorare il fatto che ero
quasi nuda davanti al mio capo.
Le sue sopracciglia per poco non colpirono il soffitto e
allungò le mani verso di me. «Entra dentro,» disse tirandomi per i gomiti. «Non
sei vestita.»
Cercai di mantenere la mia posizione ma lui mi afferrò con
tale forza che finii per sbattergli addosso e incespicammo all’indietro nel suo
appartamento.
«Gesù, Harper» ringhiò e mi spinse via. Ma non lasciò andare
le mie braccia. Mi resi conto che era la prima volta che lo sentivo darmi del
tu e chiamarmi per nome. In genere mi chiamava signorina Jayne. Lui chiuse gli
occhi e, a denti stretti, chiese: «Cosa ci fai qui?»
4
MAX
Starle così vicino mi faceva impazzire. Perché le avevo
fatto delle cose così sconce nella mia mente, che avevo sempre il timore di
trattarla con eccessiva confidenza in carne e ossa. E adesso che la tenevo
stretta, non sapevo cosa fare. Sapevo solo che non volevo lasciarla andare.
«Cosa ci fai quassù?»
Tentò di mostrarmi dei documenti, ma le tenni le braccia saldamente bloccate
contro i fianchi, spingendola verso la parete. «Il mio soffitto sta per
crollare con tutti quei tonfi.»
Il mio cervello non era in grado di funzionare. Perché si
trovava nel mio appartamento? Perché stava urlando?
Vedere quella specie di boss della mafia provarci con Harper
in palestra aveva neutralizzato lo choc della scoperta che lei abitava nel mio
condominio. Avrei voluto sollevarlo di peso e cacciarlo a calci nel culo. Poi,
quando se n’era andato, avevo notato che gli indumenti sportivi le aderivano
talmente al corpo che avrebbe potuto anche essere nuda e mi ero fiondato fuori
dalla palestra, per sfuggire al pizzicore lungo la mia pelle che mi consigliava
di andarmene prima di mettermi in imbarazzo da solo.
E adesso lei era addossata alla parete di casa mia.
Furibonda. E vestita solo in parte.
Ero senza parole.
Era sempre così fredda e composta al lavoro. Era strano
vederla così… infervorata. Chiaramente non la conoscevo bene, probabilmente
perché a stento le rivolgevo la parola, preso com’ero dal bisogno di mantenere
il più possibile le distanze tra noi. Non lo avrei sopportato, se avesse
intuito cosa passava per il mio piccolo cervello perverso, se fosse venuta a
sapere tutte le cose che immaginavo di fare con lei.
«E la musica. Si direbbe che ci sia la Filarmonica di New
York quassù. Che diavolo sta succedendo?»
Sentivo bruciarmi le mani perché le tenevo strette attorno
alle sue braccia. Allentai la presa, senza però riuscire a lasciarla andare del
tutto.
«Rispondi!» strillò. «Mi tocca sopportare quando mi ignori
in ufficio, ma qui non sei il mio datore di lavoro. Stai violando i termini del
contratto d’affitto.»
Avevo avuto il sentore che, sotto la facciata professionale,
ci fosse molto più di quanto vedessi normalmente. Già un paio di volte aveva
accennato al fatto che mi riteneva uno stronzo. Era un sollievo perché, se lei
mi odiava, questo mi facilitava le cose. Rendeva maggiore la distanza.
Ma adesso niente era facile, non con lei qui, seminuda
davanti a me. La sua pelle liscia, bollente sotto le mie dita, non aiutava
affatto. L’odore di muschio e sesso che si insinuava nel mio corpo, e andava
dritto al mio uccello. Il modo in cui i suoi capezzoli si stagliavano sotto la
seta della vestaglia. Niente di tutto questo aiutava. Chiusi gli occhi, nel
tentativo di riconquistare un qualche tipo di controllo sulle mie sensazioni.
«Mi stai ascoltando?» Non lo stavo facendo. Sentivo che era
arrabbiata ma non riuscivo a comprendere cosa stesse dicendo. I miei sensi
erano sovraccarichi.
Harper rovesciò la testa all’indietro, scoprendo il lungo
collo cremoso, e sospirò, esasperata. Prima che potessi impedirmelo, le lasciai
andare un braccio e feci scorrere l’indice lungo la sua mandibola, e poi giù
sul collo. Lei emise un verso strozzato ma io non riuscivo a trattenermi. Il
mio dito scese fin nell’incavo alla base della gola. Era come una droga. Ogni
dose di lei me ne faceva desiderare altre. Rincorrevo lo sballo – il suo
sballo.
«Che stai facendo, stronzo?»
Le sue parole mi bloccarono di colpo. Stronzo? Mi fermai e
alzai lo sguardo. Merda, le facevo cose del genere nella fantasia, non di
persona.
«Io… ti chiedo scusa.» La lasciai andare e indietreggiai,
spingendomi le mani tra i capelli. Cosa mi era passato per la mente? Ero un
padre. Un uomo d’affari. Non contava nient’altro.
Rimase in silenzio per un attimo e mi guardò accigliata.
«Sei spregevole con me in ufficio» disse, a voce bassa e perplessa.
Annuii. «Lo so.» Lo facevo di proposito.
Fissai lo sguardo sulle sue labbra carnose, imbronciate.
Tutte le cose che avevo immaginato di far fare a quelle labbra… Aveva ragione.
Ero uno stronzo.
«E mi ritieni una stupida» continuò.
«Stupida?» Se fosse stato vero, non sarebbe stata affatto
così seducente. Sì, sarebbe comunque stata bellissima, ma di belle donne era
pieno il pianeta. «Non ti ritengo una stupida.»
«Allora perché mi tratti da schifo?» Mi puntò il dito contro
e alzò la voce. «Ti comporti come se io non esistessi.» Mi conficcò il dito nel
petto. Fu come se lei avesse premuto un tasto con sopra scritto “uccello”. Il
pene mi pulsava in reazione a ogni tocco da parte sua. Le afferrai il dito,
costringendola a smetterla di premere la sua pelle contro la mia, e mi
immobilizzai così, non volendo lasciarla. Né lei tirò via la mano. Invece,
restammo solamente a guardarci, senza sapere cosa sarebbe accaduto dopo,
bisognosi di risposte l’uno dall’altra. Aveva finito di urlare? Ero in grado di
tenere le mani a posto un secondo di più?
Con mia sorpresa, lei lasciò cadere i fogli, fece un passo
avanti, mi avvolse attorno al collo la mano libera e premette le labbra sulle
mie. Un’ondata di sollievo mi invase tutto il corpo e, invece di respingerla,
le insinuai la mia lingua famelica in bocca. Lei gemette e il suono si
riverberò attraverso il mio corpo. Mi toccava come se si fosse esercitata nei
movimenti, come se ci avesse pensato tanto quanto me.
Mi staccai per un secondo e un’espressione confusa si
dipinse per un attimo sul suo viso. Fu l’incoraggiamento di cui avevo bisogno.
La spinsi contro il muro e abbassai le labbra sulla sua clavicola.
«Ti odio» mormorò.
Non si stava comportando come se mi odiasse, non stava
cercando di sottrarsi. Avevo interpretato male le sue intenzioni? Alzai lo
sguardo e lei aggrottò la fronte.
«Non fermarti» disse.
Sorrisi compiaciuto e chinai la testa. Voleva tutto questo.
«Non devo fermarmi?» chiesi contro il suo collo. ⧫
Nessun commento:
Posta un commento