venerdì 19 giugno 2020

LA MIA ROVINA SEI TU (3. RIXON RAIDERS SERIES) DI L.A.COTTON

RIXON RAIDERS SERIES
1. IL MIO PROBLEMA SEI TU, 12 novembre 2019... Recensione
2. IL MIO GIOCO SEI TU, 12 febbraio 2020... Recensione
3. LA MIA ROVINA SEI TU, 22 maggio 2020
AUTORE: L.A.Cotton
EDITORE: Queen Edizioni
GENERE: Sport Romance
 
Mya Hernandez ha delle cicatrici. Quel tipo di cicatrici che vanno in profondità e lasciano il segno. Rixon doveva essere solo un luogo temporaneo in cui nascondersi, ma sta diventando qualcosa di più. Sicuramente questo non ha niente a che fare con il giocatore di football biondo dagli occhi blu che riesce a farla ridere e a credere ancora nelle favole. Anche se lei sa che la sua vita è destinata a essere solo una tragedia. Asher Bennet ha dei segreti. Non segreti scandalosi, ma segreti che ti logorano e ti divorano l’anima. Visto da fuori, lui è Mr Popolarità, sempre pronto a fare festa e a causare un po’ di guai. Ma vorrebbe che qualcuno riuscisse a vedere chi è. Chi è davvero. È un peccato che l’unica ragazza che ha saputo guardare oltre la sua maschera lo consideri solo un amico. Probabilmente è la cosa migliore, però. Lei è diversa. Una combattente. Lei è tutto ciò che lui vuole e non può avere. Ma presto il passato di Mya e il presente di Asher si scontrano in un modo che nessuno dei due credeva possibile. E all’improvviso la cosa di cui hai più bisogno è l’unica cosa che dovresti odiare.

Se devo scegliere chi è il mio protagonista preferito di questa serie, rimango a favore di Jason.
Si Asher è senza ombra di dubbio un buon partito, ma Jason è Jason.
Nonostante è stato un personaggio secondario, è riuscito ad attirare la mia attenzione oscurando tutto il resto.
In ogni caso un libro non si giudica mai dalla copertina, e Asher ne è la dimostrazione.
In tutta la serie è stato sempre il collante tra i suoi amici e le proprie fidanzate, il cuore pulsante delle feste, con un sorriso sempre stampato in faccia.
Ha tutti gli attributi giusti, bellezza, popolarità, ricchezza.
Ma già dai primi capitoli, l’autrice fa crollare questa facciata di menzogna e ci fa vedere una realtà completamente differente.
Mya è una ragazza di colore che viene catapultata in un paese di bigotti bianchi e benestanti.
È stata costretta a scegliere se scappare dalla periferia, e dal ghetto, o continuare a vivere in una relazione malata e finire un giorno dentro in una bara.
Sin da subito viene accettata da questo gruppo di amici molto unito, e se inizialmente la sua relazione con Asher è nata solo perché gli unici single in mezzo a coppie innamorati, man mano e sempre più chiaro che non è così.
Gli ostacoli che sono obbligati a superare sono tanti e difficili.
Non parlo solo della paura per una delusione d’amore, o finire con un cuore spezzato, ma paura che il sentimento che provano l’uno per l’altro non è abbastanza forte da superare i pregiudizi delle persone.
La prima parte del libro è stata molto monotona.
Non sono riuscita a trovare il giusto coinvolgimento, dovuto anche dal fatto che l’ho trovato molto banale.
Però, man mano che la trama si è evoluta è andata sempre a migliorare e il colpo di scena è stato l’ingrediente magico.
Sono molto curiosa di leggere l’ultimo capitolo che è fa da epilogo su tutti i personaggi, per mia gioia rincontrerò Jason.
 Attendiamo, al momento vi auguro buona lettura.
«Beh, siamo arrivati.»
La Jeep di Asher rallentò e si fermò di fronte a casa della zia Ciara. Era una villetta in stile coloniale alla periferia della città. Un mondo completamente a parte rispetto alle case come quella di Asher, con il giardino immenso, il doppio garage e la vista sul lago. La sua era una delle case più grandi che c’erano a Rixon, un promemoria continuo del fatto che io e il mio nuovo amico, e usavo quel termine solo raramente, avevamo due vite del tutto diverse.
Io ero la ragazza del ghetto, che scappava dal suo passato e cercava di non crollare prima della fine dell’ultimo anno. Mentre Asher era… beh, lui era il classico ragazzo americano della porta accanto. Popolare, atletico, e tanto bello da farti svenire… se ti piaceva quel tipo di cose. I capelli biondi spettinati, gli occhi azzurri capaci di far sciogliere l’intimo delle ragazze, e un sorriso così affascinante che faceva cadere ai suoi piedi mezza città. Ma era anche un’enorme spina nel fianco.
Sfortunatamente per me, la preda che si era scelto in quel momento ero io.
«Grazie per il passaggio.» Iniziai ad aprire la portiera, ma lui mi prese il polso. I miei occhi scattarono verso il punto in cui le sue dita mi toccavano; la sua pelle abbronzata era comunque di tre tonalità più chiara della mia, color caramello. Un altro promemoria del fatto che eravamo completamente diversi.
«Invitami a entrare, Hernandez. Scommetto che a tua zia piacerebbe molto conoscermi.» Ebbe l’audacia di farmi l’occhiolino. Repressi un gemito.
«Mia zia non è proprio una fan di queste cose.» Alzai le sopracciglia, continuando a saettare lo sguardo tra lui e il punto in cui mi aveva afferrata. Asher mi lasciò il polso e si passò la mano tra i capelli.
«Fammi indovinare, non vuole che un Raider giri attorno a sua nipote?»
«Provaci, ragazzo bianco», mormorai sottovoce.
«Cosa hai detto?» chiese Asher. «Perché so che non hai detto ciò che credo tu abbia detto.»
«Niente», sbottai. «Non ho detto niente.»
Socchiuse gli occhi, scrutando la mia espressione dura per decifrare la verità. «Tua zia ha un problema con il colore della mia pelle, Hernandez?» Sembrava realmente offeso. «Non mi conosce neanche.»
«Benvenuto nel mio mondo.»
«A nessuno frega di questa cosa, Mya. Nel caso tu non lo avessi notato, siamo nel ventunesimo secolo.»
«E il fatto che tu mi abbia appena detto questa cosa mi fa capire tutto ciò che avevo bisogno di sapere.» L’indignazione mi risalì la schiena. «Grazie per il passaggio. Ci vediamo domani a scuola.» Uscii dalla Jeep sentendo la frustrazione stringermi il petto.
Era ovvio che Asher non capisse cosa volesse dire per me trovarmi in un posto come Rixon. Perché avrebbe dovuto capirlo? Era un ragazzo. Un ragazzo bianco privilegiato, nato e cresciuto lì. Ed era anche un Rixon Raider. E avevo capito fin da subito che questo aveva un grande valore, lì.
Non mi voltai indietro mentre mi affrettavo a raggiungere il portico di mia zia. Lei non era a casa, non c’era quasi mai, per via del suo lavoro da commessa al Seven-Eleven nella città vicina. Ma non volevo che Asher lo sapesse. Era peggio di un cane con l’osso e se avesse saputo che ero a casa da sola, avrebbe trovato un modo per entrare, e non me ne sarei più liberata.
Avevo quasi raggiunto la casa, la libertà, e tirai un piccolo sospiro di sollievo, ma poi la sua voce fece contrarre ogni singolo muscolo del mio corpo.
«Che cazzo è appena successo?»
Mi voltai e vidi che Asher era lì in piedi, con gli occhi pieni di scuse e confusione. Era così dannatamente adorabile, sembrava un cucciolotto dolce, ma fastidioso.
«Va’ a casa, Asher.» Restai impassibile. Perché se avessi dato un dito ad Asher Bennet, lui non avrebbe esitato a prendersi tutto il braccio.
«Mya, andiamo. Cosa è successo?»
«Non capiresti», sussurrai, e odiai sentire le dita gelide della vulnerabilità che mi stringevano la gola. «Mettimi alla prova.» Fece un passo avanti, rubandomi tutta l’aria. Cosa ridicola, visto che eravamo all’aperto, circondati solo dall’aria fresca della Pennsylvania.
«Asher… ti prego…» Non volevo farlo. Non lì. Non in quel momento. E men che meno sul portico di mia zia.
«Mya…» contrattaccò, la determinazione bruciava nei suoi occhioni blu.
«Mezz’ora, poi te ne vai.»
«Se questo è un tentativo di invitarmi a entrare, lasciatelo dire, devi lavorare sulle tue maniere, Hernandez.»
Roteai gli occhi, poi presi le chiavi e aprii la porta, entrando senza aspettare Asher. Vivevo lì da quasi tre mesi, ma ancora non sentivo la casa della zia Ciara come casa mia. E non ero certa che l’avrei mai sentita tale.
«Bel posto», disse Asher mentre la porta si richiudeva delicatamente dietro di lui. Ma quel suono avrebbe potuto benissimo essere un colpo di pistola al cuore, visto il modo in cui vibrò dentro di me. Rendendomi del tutto consapevole del fatto che fossimo soli. Nel mio territorio. L’unico posto a Rixon che potevo definire mio.
«Vuoi da bere?»
«Hai qualcosa da mangiare, là dietro?» Asher allungò il collo, il suo sguardo divertito vagò oltre la mia spalla.
«Andiamo», grugnii, «vedrò cosa posso fare.»
Se c’era una cosa che avevo imparato su Asher Bennet durante la mia breve permanenza alla Rixon High, era che quel ragazzo mangiava eccome. Non ero certa di dove mettesse tutto quel cibo, però. Non aveva un filo di grasso, al contrario, non era altro che un insieme muscoli sodi estesi sulle spalle larghe e i fianchi stretti.
Mi seguì in cucina e si sedette al bancone. «Tua zia non è qui, vero?»
«Te ne sei accorto, eh?»
«Mi hai mentito, Hernandez?»
«Forse…» sospirai, iniziando a preparargli un panino. «Abbiamo solo tacchino, formaggio e dei cetriolini dall’aria sospetta.»
«Me li faccio andare bene.» Si mise comodo. «Allora, da quanto vive a Rixon tua zia?»
«Fin da quando io ero piccola. Non ero mai venuta a farle visita, prima.» Era sempre venuta lei da noi. La mamma non aveva mai parlato molto del motivo per cui la sua unica sorella si era trasferita da Philadelphia, ma crescendo avevo messo insieme i pezzi della storia. La zia Ciara era scappata. Scappata da quel quartiere per avere una vita migliore. Era più grande di mia madre di quasi dieci anni, e non appena si era diplomata al liceo aveva fatto le valigie ed era corsa via da quel posto.
«E riguardo a quello che hai detto prima, il fatto che io sono bianco, sarebbe davvero un problema per lei?»
Una volta preparato il panino, spinsi il piatto verso Asher e feci una smorfia. «Sì… e no. Mia zia ha conosciuto un uomo qui. Un uomo bianco. Non so tutta la storia, ma una volta ho sentito mia mamma parlarne, e qualunque cosa sia successa tra loro, tra mia zia e quell’uomo, non è stato niente di buono.»
«Wow, okay.» Asher prese un grosso morso del panino e masticò a malapena prima di inghiottire. «Quindi verrei giudicato per le azioni di un altro uomo. Molto progressista da parte sua.»
«Nel caso tu non lo avessi notato, a Rixon non c’è molta diversità.»
Lui si strinse nelle spalle, dando un altro morso. «Ma tu ci dipingi come fossimo tutti dei razzisti, e non è così.»
«Hai idea di quanto sembri bigotto in questo momento?»
«Io non…»
«Ho lasciato la mia casa, il mio quartiere davvero pieno di diversità, e mi sono trasferita in un buco in mezzo al nulla dove il football è una religione e io sono una dei pochissimi studenti a camminare per i corridoi della scuola che non rientra nei canoni bianchi.»
Asher si raddrizzò, la sua espressione si fece più dura. Se non lo avessi conosciuto meglio, avrei detto che sembrava protettivo. Ma questo avrebbe aperto un vaso di Pandora che non ero pronta ad affrontare.
«Qualcuno ti ha detto qualcosa?» domandò. «Perché se lo hanno fatto…»
Mi appoggiai contro il bancone e presi un respiro esasperato. «Asher, ascolta quello che sto dicendo. Non si tratta di quello che le persone fanno o dicono…» In realtà era così, ma non era quello il punto in quel momento. «Si tratta di quanto sia difficile per una persona che non è nata qui, che non è bianca, cercare di conformarsi restando fedele alle proprie radici.»
Asher aggrottò la fronte mentre rifletteva in silenzio sulle mie parole. Non avrei voluto fare quella conversazione, specialmente non con lui. Ma nelle ultime settimane, Asher si era fatto strada nella mia vita. Che io lo avessi voluto o no.
«Suppongo di non aver pensato…» Si passò una mano sul viso.
«Va tutto bene. È dura essere un Raider», lo presi in giro, cercando più di ogni altra cosa di allontanare da me i riflettori.
«Però me lo diresti, vero, se qualcuno dicesse qualcosa a proposito del fatto che tu… sai?»
«A proposito del fatto che sono latina e vengo dal ghetto?»
«Sei molto più di questo, Mya.» Nei suoi occhi bruciava qualcosa che avevo già visto prima. All’inizio, era stato quando guardava Felicity. Ma poi i suoi sguardi si erano spostati su di me, all’incirca quando lei e Jason erano diventati qualcosa di più di due persone a cui piaceva farsi impazzire a vicenda.
Ancora non sapevo cosa provare a riguardo.
Abbassando gli occhi, passai un dito sul bancone in legno rovinato. Mia zia mi aveva aperto la sua porta senza fare domande, accogliendomi nella sua casa e nel suo cuore. Non lo aveva detto, ma credevo che vedesse molto di sé stessa in me. Una ragazza bisognosa di scappare. Solo che io non avevo mai voluto scappare. Mi ero semplicemente resa conto che non sarei più potuta rimanere là senza perdere un pezzo di me stessa.
Quindi adesso ero a Rixon. A nascondermi. A fingere che andasse tutto bene. A cercare di fuggire da un passato che un giorno mi avrebbe raggiunta.
«Sei così fottutamente bella che fa male.»
I miei occhi scattarono verso quelli di Asher e lui imprecò sottovoce.
«Merda, Mya, non volevo… Voglio dire, volevo, ma non volevo. Cazzo.»
«Credo che dovresti andartene», dissi con calma, senza mostrare la mandria di cavalli che aveva preso a galoppare nel mio petto.
«Mi è uscito e basta. Io non… Riavvolgiamo il nastro. Facciamo finta che non lo abbia mai detto.»
«Asher.» Gli rivolsi uno sguardo pungente, trattenendo un sorriso. «Non credi che io sia bella?»
«Cosa? No… lo credo. Certo che lo credo, ma ho pensato che…» Asher imprecò di nuovo. «Mi stai prendendo per il culo, vero?»
Le mie labbra si incurvarono in un sorrisetto vago. «Ci vediamo domani, okay?»
Si alzò in piedi con un’espressione mortificata. «Non lasciare che questo renda le cose strane tra di noi, Hernandez. Posso ammirare una bella donna, anche se so che appartiene a qualcun altro.»
«Io non…»
«Ce lo hai scritto in faccia. E poi, Hailee e Flick parlano. Un sacco.»
«Loro ti hanno detto di…»
«Non lo farebbero, no. Ma a volte sento delle cose… vedo delle cose», disse in modo criptico. «Chiunque sia, non ti merita.»
«Ah, sì? E cosa te lo fa pensare?» Alzai il mento, pronta a difendere Jermaine. Alcune abitudini erano più dure a morire rispetto ad altre.
«Perché ha lasciato che scappassi. E se fossi mia, ti inseguirei fino ai confini della Terra prima di rinunciare a te.»


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